Ti amo più di quanti bit ci sono in un tera
Anni fa, quando non scopavo, mi sentivo davvero una sfigata.
E pensare che solo 50 anni prima sarei stata innalzata dalla comunità come esempio di somma virtude! Solo fisica, ovviamente, perchè l’innocenza mentale – canonicamente intesa, visto che io mi sento perfettamente pura – l’avevo già persa da un pezzo tra film porno e un corredo di fantasie erotiche del tutto invidiabile.
Mi sentivo irrimediabilmente, completamente sfigata visto che a 18 anni era tanto se avevo visto 2 piselli dal vivo in tutta la mia vita tempestata di ormoni. Non sapevo cosa volesse dire avere essere sanguinariamente deflorata dal vicino di casa e nemmeno come si potesse rischiare il soffocamento praticando la 69. Mi sentivo esclusa. Sembrava che tutto il mondo scopasse tranne me. Persino le amebe e i parameci scopavano. Certo, era sempre scopare con se stessi, ma era comunque fare sesso. Uno degli ingredienti della banale popolarità.
Volevo fare anche io la mia rivoluzione sessuale, togliermi i vestiti come fossero catene, fare cose trasgressive e godere di tutte le terminazioni nervose che avevo in corpo. E anche sentirmi amata. Come tutti. Volevo ribellarmi alla mia condizione di minorata sociale come quando – 40 anni fa – si scopava con un qualsiasi essere vivente (cani, capre e balene) anche solo in segno di sfregio a chi diceva che tutta questo piacere e questa promiscuità fossero disdicevoli. Immorali. Vergognosi.
In effetti, forse avevano ragione questi veliardi mortificatori delle gioie della vita: perchè è disdicevole, immorale e vergognoso scopare solo per aggiungere un nome – o meglio, un numero – nel proprio curriculum sessuale. Per il semplice fatto che solitamente quando si fa sesso ci sono di mezzo delle persone, vive, e questo rende il sesso un po’ meno sportivo degli altri sport. Invece sembra che oggi nel sesso valga il detto “l’importante è partecipare” e non “l’importante è godere”. O star bene. O far star bene. O amarsi.
Forse non si è ancora capito che la vera libertà sessuale è una questione più intima di quanto si pensi. Non è una legge pubblicata sul gazzettino, non è una moda titolata sui tabloid e nemmeno una parata di cazzi di gomma, ma un diritto da reclamare con sé stessi.
E’ la libertà di scopare come ricci e anche di non scopare affatto per mesi, anche anni, volendo. E’ la libertà che ci concediamo per realizzare tutte le nostre fantasie, da frustate e pioggia dorata a grattini e posizione del missionario. E’ il non sentirsi socialmente obbligati o moralmente impediti. Si tratta semplicemente di ascoltarsi e di viversi invece di rimanere ingabbiati in strutture mentali che ci legano ben più stretti di uno shibari. E’ lasciarsi andare, semplicemente, con il sorriso sulle labbra, così come si è.
Forse, bisognerebbe solo iniziare a volersi un po’ più bene e tirare lo sciaquone, liberandoci di tutte le stronzate che ci mettono e ci mettiamo in testa.
L’ascensore non funzionava, come al solito. Così ho fatto le scale, a testa china, che tanto anche ad avere una bella postura da scopa in culo non mi avrebbe certo guardata nessuno, e ho visto.
Ho visto un grosso filo di sperma gocciolare immobile sotto un gradino. Non ho alcun dubbio sul fatto che fosse sperma. Non che sia andata a verificare, è chiaro. Ma così bianco e vischioso non poteva essere che quello. Delle tracce umide tipo sputo o un qualche altro tipo di bagnato lucido e lubrificante salivano per due rampe.
Spero solo sia stata colpa del cane topo dei vicini che è entrato in calore, e non di qualche frequentatore di sessovenditrici. Vivono entrambi al quarto piano.
L’ho trovata su Facebook…
Continuo a pensare alle ragazze che lavorano sopra casa mia. Fanno le puttane. Per l’esattezza credo siano transessuali, anche se non so se siano completamente operate.
Spesso incrocio i loro clienti uscendo o entrando nel portone. Incrocio il loro sguardo quasi senza volere. E un secondo dopo mi accorgo che io sono incappata in un segreto che quegli uomini probabilmente non hanno mai rivelato alle loro mogli, o al loro migliore amico e che forse faticano ad accettare persino loro stessi. E sono sicura che molti di loro ne abbiano, di mogli e di amici. Molti di loro magari sono divorziati, scapoli rassegnati o impenitenti che pagano per fare sesso, del sesso speciale magari. E io, io li guardo in faccia più per una strana coincidenza logistica tra miei occhi e i loro, io sto scippando i loro desideri, le loro fantasie, le loro necessità, frugandole in un angolo buio della mia mente come se fossero portafogli scuciti.
Non è giusto, semplicemente perché loro non hanno scelto di dirlo proprio a me. Non mi hanno mai confidato “sai, a me piace la sorpresa” o “ho bisogno di scopare” o “di amare”.
Non è giusto e basta perché è la loro intimità e io, con quell’unico sguardo, l’ho violata.
Forse è per questo che non ricordo neanche una faccia.
Amarsi è…
…andare in gelateria, sedersi al tavolino tenendosi per mano, ordinare una spagnola e una banana split scambiandosi sguardi di maliziosa intesa, con grande imbarazzo della cameriera, e gustarsi la coppa in silenzio, pensando al dessert. Quello vero.
Via | Davide Vitellaro
Ovvero: lo spot Mow the Lawn per il rasoio femminile Wilkinson. Per la serie: mi raserò l’aiuola. La depilazione della passera per chi ha il pollice verde.
Stasera sono andata a fare un giro nel mio quartiere, quello di sempre.
Non avevo altra scelta: avrei aspirato anche una gamba del tavolo pur di fare qualcosa di simile a fumare una sigaretta.
Uscita dal portone vedo un uomo nel cortile, che parla al cellulare e riattacca velocemente. Poi sento scattare la serratura elettronica del citofono e lui sale. Sta andando dalle puttane che abitano nel mio palazzo. Delle persone squisite, probabilmente le più gentili tra i condomini. Salutano sempre e sorridono. Mi spiace anche un po’ chiamarle puttane, perchè mi sembra di disprezzarle. Ma è quello che sono. O meglio, sono delle trans molto molto ben fatte che si prostituiscono.
Una sera d’autunno ho visto una di loro che batteva al freddo in una delle note strade del puttan tour della mia città. Mi ha fatto male vederla così, e mi sono chiesta come facesse ad avere sempre quell’allegria carioca stampata in faccia. La sera, sotto casa mia, c’è un bel via vai di signori di mezza età, ma nessuno schiamazzo. Questa è la differenza tra loro e il mio vicino galeotto. Lui disturba. E fa del male alla gente. Mentre loro, le puttane gentili, si avvicinano decisamente di più a quella che è la mia idea di far del bene, o almeno, al far star bene le persone.
Mentre esco sulla strada penso a tutto questo, e mi ritrovo tra l’aria fresca e la strada semibuia per le lampadine rotte. Non so dove andare. Vorrei sedermi a fumare la mia sigaretta, ma non riesco a stare ferma. E poi non voglio sedermi sul gradino di un negozio, non voglio sembrare disperata, se qualcuno dovesse vedermi.
Mi dirigo verso le vetrine di un negozio di arredamento, che schiamazzano in scritte cubitali: “liquidazione! Sconti dal 30 al 50%!”. Mi dico “Stanno chiudendo anche loro” e desidero una casa mia da arredare a prezzi stracciati. Anche le luci dei negozi sono spente, probabilmente per risparmiare sull’elettricità. D’altra parte chi guarda le vetrine a quest’ora? Non c’è in giro quasi nessuno. Sento solo gli schiamazzi di un gruppo di donne che chiacchierano frivolezze con un tono della voce simile al sonar dei delfini. Mi urtano. Mi guardano. Mi allontano.
Non voglio seccature, solo 20 minuti d’aria. Cambio direzione e vado verso il Blockbuster, che quando era arrivato più di 10 anni fa sembrava avesse portato finalmente la civiltà moderna e una cosa fighissima che tutti chiamavano “globalizzazione”. Ora è chiuso, con le vetrate da cui un tempo si vedevano gli scaffali pieni di film, coperte come salme da lenzuoli di carta bianca. Non c’è neanche più l’insegna. Le serrande dei negozi tutto intorno sono abbassate e grigie e io vengo attirata come una falena stordita verso i neon alla fermata dell’autobus. Mi siedo a fumare la seconda sigaretta in 13 minuti, almeno così sembrerà che sto aspettando qualcosa. Ad esempio Godot.
Non faccio neanche 5 tiri che mi sono già alzata e torno indietro. Voglio fare il giro dell’isolato mentre giro isolata. Voglio guardare gli annunci delle case dell’agenzia immobiliare. Sogno un po’, che non fa mai male. Mi sento ubriaca, stordita da tutto questo silenzio. Sono stata indecisa sul fermarmi o meno a bere qualcosa nel bar dove andavo con gli amici. Ma bere da soli in un luogo pubblico mi mette davvero addosso troppa tristezza. Mi sentirei un quadro di Degas.
Lancio il mozzicone abbrustolito al di là della strada e imbocca la via di casa. Una macchina si allontana nella direzione opposta grattando con il cambio. Nell’abitacolo scorgo l’uomo che avevo visto salire dalle puttane. Mi chiedo se lui soffrisse di eiaculazione precoce o se lei fosse molto brava. E’ pieno di puttane qui intorno, che lavorano in casa. Ce ne sono anche nel palazzo di fronte al mio, dove una volta ho visto entrare alle 3 di notte una stanga bionda e seminuda, seguita da un ragazzino che avrà avuto più o meno 18 anni.
Nel mio cortile ora non c’è più neanche qualcuno che voglia godere. Nel mio quartiere non c’è più neanche qualcuno che riesca a vendere qualcosa, a parte le puttane. Apro il portone e chiamo l’ascensore. Sento che la serratura scatta dietro di me mentre si aprono le porte, ma non aspetto. Entro più velocemente che posso, e schiaccio il tasto del mio piano. Nessuno si lamenta, o impreca. Io l’avrei fatto.
Quando chiudo la porta di casa, sento solo un gran vuoto intorno.
Se potessi scegliere un posto dove vorrei trovarmi in questo momento sarebbe sicuramente una camera del mio motel preferito. Con un bel lettone king size, il riscaldamento a palla e 4 pareti insonorizzate tra cui urlare. Nessun pensiero da brava massaia per riordinare la stanza post coitum, flaconcini monodose per 2 e film porno gratis 24/24. In più, bagno in marmo: se scegliamo la vasca doppia vuol dire giochetti con il vibratore waterproof e relax, se scegliamo la doccia è il festival dello schizzo.
Non vorrei molto. Solo andare lì e riuscire ad abbandonare ogni granitico pensiero al di là della tende e della porta con serratura magnetica. Trovare un po’ di leggerezza saltando sul letto, sgranocchiando Cipster comprate all’Autogrill e scopando come ricci realizzando ogni fantasia suggerita dalla location.
Oggi riflettevo proprio sul fatto che luoghi diversi risveglino un erotismo diverso.
Ad esempio, andare in motel mi fa sentire un po’ una puttana di lusso, sempre ubriaca di champagne e pronta a soddisfare ogni perversione senza pensarci due volte. Andare in motel mi dà l’idea che sia ogni istante sia un’avventura da divorare fino all’ultimo granello di energie, assaporando oziosamente ogni voglia lasciva, lasciando che il succo di quel godere mi coli dall’angolo della bocca fino al capezzolo.
C’è quel cordone che tiene insieme le tende che mi fa proprio desiderare di essere legata stretta. Il tavolino e la testiera del letto mi fanno venire voglia di posizioni ad angolo retto, frasi sconce e un mano che mi afferra saldamente i capelli da dietro. Lo specchio gigante davanti al letto mi ispira momenti di voyerismo e il lavandino di marmo verde per rapide incursioni durante il lavaggio dei denti.
Quando sono in motel mi sento una troia spericolata e appassionata che vuole stupire, provare, essere dominata, e anche dominare, se gentilmente richiesto. Quando sono in quella stanza con i soffitti alti e le lenzuola nuove ogni 4 ore, io mi sento frizzante di leggerezza ed entusiasmo. Io mi sento libera.
Se sono in quello che chiamo “il mio piede a terra” (un piccolo studio dotato di bagno e divano letto molto comodo) invece, ho pensieri erotici che si avvicinano molto a quello che definirei un romanticismo “povero”. Stare insieme nonostante tutti i casini, riposare abbracciati, coccolarsi passando le dita tra i capelli e giocare a “ti rubo tutta la coperta”. E fare l’amore vuol dire soprattutto “ci sono, sono qui per te. Voglio esserci, voglio essere con te e dentro di te“.
Il pavimento è talmente freddo che mettere anche solo un alluce fuori dalle coperte equivale a mordere un limone acerbo. Le doghe del divano letto cigolano un po’, che quasi piangono, come fossero i singhiozzi degli ingranaggi di due cuore ammaccati. Lo spazio è talmente poco e spoglio che viene solo voglia di stare il più vicino possibile sentendo i respiri affannosi che si scontrano e ti rimbalzano in faccia. Stare nel “mio piede a terra” mi fa venire voglia di dire tutto con i baci e con gli sguardi. Mi fa venire voglia di ascoltare il silenzio.
Se sono a casa dei miei invece mi viene di fare la ragazzina troieggiante e di infrattarmi nel mio letto soppalcato a scopare, cercando di far godere Lui il più possibile. Oppure, se sono a casa da sola e fa abbastanza caldo da tenere le finestre aperte, mi piace girare nuda per casa sgranocchiando carote, o farmi direttamente scopare appoggiando le tette sui geranei, con il culo nudo dentro la camera, e tutti protrebbero tranquillamente sostenere di aver visto il mio Lui che mi abbracciava teneramente.
Andare al ristorante invece mi fa venire voglia di sfilarmi la scarpa e, se la tovaglia è abbastanza lunga, iniziare a massaggiargli cazzo posando il piede sopra la patta. Di solito poi mi viene anche voglia di sentire un sussurro che mi sussurri eccitata “andiamo in bagno” e farlo lì, arruffandomi i capelli in pochi minuti di frenetico piacere che esplodono in un orgasmo mentre la gente, nella sala accanto, continua a gustarsi il suo piatto del giorno.
Anche in macchina di solito mi viene voglia di godere senza fermarmi davanti a un semaforo rosso o a un divieto d’accesso, facendo violentemente sesso sfilando i vestiti solo a metà e incastrandosi come valige il giorno dell’esodo estivo.
Insomma, ogni posto – non solo la camera da letto – ha il suo perchè. L’importante è trovare quale.
Credo che data la stagione sia giunta anche l’ora di inaugurare la macchina nuova.