Selvatica
è così che voglio essere. un odore di carni e sterpaglie, di rovi dolci e frutta.
Stretta alla balaustra bianca, il vento mi soffia in faccia, scompigliandomi i capelli, riportando alle narici la gomma e il gasolio che strisciano dalla stiva. Apro la bocca, per cancellarli con l’aria fresca del mare.
È l’assoluta discrezione del mare, che mi rapisce, con le sue correnti sommerse, invisibili, con le sue profondità vertiginose, persino per l’immaginazione. Chissà quante montagne ci sono, sotto questa nave.
La nave finalmente attracca. L’ancora scorre sibilando metallo, fino a mordere il fondale con i suoi denti. Poi apre la pancia, per lasciar uscire il suo carico di vacanzieri. Un po’ in festa, un po’ stanchi per l’alba che hanno salutato, prima della partenza. Guardano l’orologio. Sì, è già pomeriggio.
E poi vedono la terra, una terra nuova, una terra in cui sembra che anche i vecchi siano sempre li stessi. che non muoia mai nessuno. Che non cambi niente.
Uscendo dalla strada principale tutto cambia all’improvviso. L’asfalto si sostituisce con la terra, il correre dei pneumatici con le zampe frenetiche delle cicale. Piante grasse. Scorci di mare. Siamo in un angolo di paradiso.
E il paradiso è quello in cui posso essere selvatica e nuda. Un ecosistema che sprigiona odori nuovi dal mio corpo. Un corpo che a poco a poco muta, si lascia leccare dal sole, trasformare dall’interno. Un corpo che si lascia danzare, senza più preoccuparsi se gli altri potranno capire com’è fatto. Cosa c’è dietro. Dentro.
Dentro la tenda, dietro i cespugli, ci azzuffiamo, ansimiamo, il sudore che si incolla come una resina sulle nostre labbra, sulle nostre pelli. Il sale aumenta il gusto di leccarlo via. La fame chiede di essere saziata, affondando i denti e i sessi. La sete chiede altra umidità, perché quella del mare non basta.
E qui basta tutto. Basta costrutti sociali, basta buone maniere e abitudini calcificate, basta vestiti, basta parole, basta cementi e led, basta scadenze, basta “tu devi”, basta stronzate, basta acconciature, trucchi, basta illusioni. Basta. Quello che abbiamo.
Abbiamo preso due cavalli dal maneggio. Trottiamo piano, dentro la foresta. Sventagliano la coda, mentre noi facciamo il bagno in una piccola vasca di roccia, azzurra e trasparente come un vetrino, ricavata in un’insenatura del fiume. Ho un po’ freddo ma non m’importa, e ci baciamo, arruffando i capelli, le mani, succhiando l’amore fino al nocciolo. Un raggio di sole riesce a penetrare il fogliamo, spiandoci. Allora ti prendo per mano, sentendo sotto i piedi sottili aghi di pino, correndo fino a uno spiazzo. Ci appoggiamo a un albero. Respiriamo. Lenti. Profondi. Sguardi. Ribelli. Sentiamo nitrire, poi il silenzio.
Mi prendi da dietro. Chiudiamo gli occhi, apriamo le bocche, godiamo un po’ di vita. Ammazziamo il tempo.