L’insegnamento della Love Doll
Ieri sono andata da Angelique DeVil a conoscere Elina, una procace Love Doll prodotta – anzi, realizzata artigianalmente – da DollStory.
L’ho trovata meravigliosa e allo stesso tempo inquietante, sensualmente accomodata su una sedia di classe, abbigliata in stile boudoir. Con la bocca socchiusa, quasi a voler lasciar fuggire un sospiro, una mezza parola.
Da lontano sembrava una donna vera, in carne ed ossa, a parte il fatto che non sbatteva le palpebre. Solo avvicinandomi ho potuto capire quello che è: 27 kg di silicone plasmato con maestria per ricalcare fedelmente le fantasie erotiche e l’immaginario collettivo della bellezze e della femminilità. In lei, il demiurgo – anzi, i demiurgi, due artisti visionari giapponesi, Atsumi e Okawa – non ha lasciato nulla al caso.
La pelle, le ciglia, le unghie, la carne artificiale… Non ho resistito, ho allungato una mano e l’ho toccata. La consistenza delle cosce è soda, stagna, molto diversa da quella morbida – da affondarci le dita e strizzare – del seno, dei capezzoli ruvidi, o da quella flessuosa delle dita. Il mio sguardo si sofferma sul collo del piede, perfettamente arcuato. Mi spiegano che Elina è dotata di uno scheletro interno completamente articolabile – e subito penso a bizzare posizioni del Kamasutra che potrebbe assumere senza il minimo problema, e a come io giocavo con la mia Barbie snodabile, da ragazzina, facendole assumere pose pornografiche – e io soppeso con lo sguardo la sua postura estremamente naturale. Mi spiegano anche che ogni Love Doll è realizzata secondo i desideri del cliente – dal colore della pelle alla taglia di reggiseno – e che ad esempio Elina è dotata di una vagina da esposizione – anatomicamente perfetta, eccetto per il fatto che manca il buco – e una da amare a tutti gli effetti. Elina può anche essere truccata e struccata a piacere, può cambiare vestiti e acconciatura. Una creatura che aspetta solo di ricevere un soffio di vita, una marionetta sexy che aspetta l’incantesimo che la renderà una donna vera. Per ora si accontenta di fare compagnia a qualche uomo, disponibile ad essere ciò che vorrà (spesso in Giappone) o a prendere parte a qualche esposizione artistica (soprattutto in Europa), in qualità di musa o di pezzo da museo. In questo caso, mi dico, anche le Love Doll fanno carriera, si evolvono intellettualmente, passando dall’essere oggetti di piacere a oggetti di culto del design (non a caso è esposta in occasione del Fuorisalone 2011).
Saluto Elina, che mi guarda impassibile, un po’ svampita. D’altra parte – sogghigno – ci manca solo che una così bella sia anche intelligente.
A questo punto, i pensieri iniziano a perseguitarmi, come se mi fossi dimenticata qualcosa, come se in quella bambola ci fosse qualcosa che non sono riuscita a cogliere. Quella sua immobilità tridimensionale non mi abbandona, diventa quasi un sogno, in cui qualcosa che dovrebbe essere vivo non lo è, in cui Elina non è solo una bambola, ma un simbolo. Un oracolo criptico che cerca di tramandare il suo segreto, il suo insegnamento.
Ricordo di aver provato un pizzico d’invidia, guardandola. Lei è perfetta, compiuta, eterna. Non invecchia, sarà per sempre bella, senza stancarsi a rincorrere uno stereotipo di bellezza irraggiungibile. Resta lì, lei è già lì, come un totem della femminilità. Mi chiedo se un uomo potrebbe mai preferirla a una donna vera. E mi rispondo che in certi casi sì, forse un uomo preferirebbe una bambola senza cervello né cuore piuttosto che un modello di femmina insoddisfatta e lamentosa, frustrata e aggressiva. Mi chiedo anche cos’ha una donna, davvero, più di lei. La risposta è ovvia: una bambola non potrà mai sostituire una donna perché un essere umano ha cuore e cervello, pensieri ed emozioni, e ha in sé la meraviglia del mutamento, della trasformazione, dell’unicità dettata solo dall’imperfezione, una ricetta che per ognuno è diversa e che rende ognuno perfetto, compiuto in sé stesso come essere umano. Ed è disarmante il modo in cui le donne – ma anche gli uomini – tendono a buttare il proprio valore aggiunto, quello che ci rende molto più che bambole – la propria vita, la propria felicità – nel cesso.
Ecco quello che per me è il messaggio di Elina, l’insegnamento della Love Doll.
Lei, nei suoi 27 kg di silicone e perfezione, rappresenta quel solido stereotipo di erotismo, bellezza e femminilità a cui le donne cercano disperatamente di adeguarsi, di assomigliare, pensando che diventare quell’idea le renderà uniche, desiderabili, felici. Ma nel tentativo di raggiungere quell’ideale, di corrispondere al castello di aspettative e luoghi comuni che ci siamo costruite, combattendo contro noi stesse, contro il mutamento (dicesi anche: cercare di non invecchiare) e l’unicità della nostra imperfezione, cercando di cambiare quella o quell’altra cosa, cercando di eliminare tutti i nostri difetti di fabbrica, ci rendiamo ogni giorno un po’ più bambole, un po’ più tutte uguali, sostituibili. E un po’ meno uniche. Un po’ meno desiderabili. Un po’ meno felici.
Perché sappiamo benissimo che la perfezione è un ideale contro natura.
Sono andato sul loro sito web … affascinante ma molto inquietante … fetish che più fetish non si può … ho capito che non sono un maniaco, preferisco la carne viva …
@Sir Stephen: è pura estetica, talmente pura da essere immobile
So*
(mumble mumble)
@Sophieboop: Stamattina in chat una donna mi ha detto che si eccita molto ad essere trattata come una bambola, come un oggetto. Il fatto è (appunto) che lei si eccita, la bambola no … questo per me fa una bella differenza … se avessi i soldi per comprare una bambola, li spenderei sicuramente con una donna …
abbiamo parlato di questo post, mi piacerebbe sentire una tua eventuale replica
http://lestanzedieva.blogspot.com/2011/04/la-bambola.html
ciao
fatto
So*
@Sir Stephen: capisco benissimo la sensazione, anche se ciò che c’è a capo non è facilissimo da spiegare e potrebbe essere frainteso, visto che in genere l’essere usati come oggetti non è un concetto positivo, anzi. Ma il sentirsi “oggettificati”, “strumenti e oggetti di piacere” – sia chiaro, non con una persona a caso, ma con una persona che sai che ti rispetta e ti ama – può essere molto liberatorio ed è uno dei concetti che sta alla base dei rapporti di dominio/sottomissione: “come un oggetto io mi lascerò fare tutto quello che tu vorrai”. Permette di lasciarsi andare totalmente, di provare una sorta di annullamento di sé che però consente di sentire tutto a volume amplificato, spendendo inoltre il giudizio. In pratica, l’oggettificazione permette di dar voce a delle fantasie o a dei comportamenti che il nostro personale dittatore mentale normalmente metterebbe a tacere.
So*
Postilla: in questo post non mi andava di discutere della sanità mentale di chi preferisce le bambole agli esseri umani, semplicemente perché non mi piace dare giudizi sulla sessualità altrui. Tutti sono liberi di procurarsi piacere come vogliono, se non nuocciono a sé stessi o agli altri.
Quanto all’oggetificazione, è una questione complessa, molto lontana secondo me dal senso comune del termine, che la considera una mancanza di rispetto. Se non richiesta e concordata tra i partner, di certo lo è (es. un tipo che se ne frega del tuo piacere, ti scopa e poi ti lascia lì a prendere la polvere), ma quando invece diventa un modo di trasformarsi e di esprimersi, di giocare – per contrasto, senza esprimersi direttamente – può essere credo molto positiva.
So*
grazie, so.
ah, a me il tuo post è piaciuto, sia chiaro (e anche io le preferisco vive)
Anche io li preferisco vivi eh? A parte i vibratori, ma quella è un’altra storia, sulla fascinazione meccanica…
So*
Direi che in sostanza siamo tutti d’accordo: le bambole di DollStory sono perfette e inquietanti, le donne vere, anche se hanno qualche difetto, sono molto meglio, anche quando giocano a fare le bambole di carne. E poi, le donne hanno una inimitabile vagina autolubrificante …
non vorrei una donna che giocasse a fare la bambola sia pure di carne, davvero. neanche per gioco
@Sophieboop: Sono d’accordo, per una donna può essere un gioco molto eccitante. Mi viene in mente Monica Vitti in “La ragazza con la pistola”, quando sotto i baci del suo spasimante dice: “Sarà come baciare un pezzo di mammo!”. Per poi, alla fine, cedere.