Delizie
La cosa che mi fa sorridere, ogni volta, è che chi ci conosce sia spinto a pensare che, tra noi, sia tu il sottomesso e non io. Tu a farti legare, tu a chiedere “ancora”, tu a supplicare “basta, ti prego” e ancora tu a ricevere le lingue di pelle del frustino come scrosci di pioggia, ringraziando per l’abbondanza con cui questa delizia ti viene donata.
Forse lo deducono dai miei ricci aggressivi, o forse da quello sguardo intimidatorio che a volte lascio scoccare, o ancora della lingua a doppio taglio, che si lancia a colpire ogni qual volta senta l’odore della carne. Sì, anche il tuo fare pacato potrebbe prestarsi ad essere interpretato come una certa mansuetudine, una certa tendenza all’inerzia, mentre in realtà la mia pelle trema come il ferro sotto le tue mani calme di magneti, e il mio corpo ubbidisce stregato dal suono della tua voce ferma. Così tranquilla, così fiduciosa del fatto che io mi lascerò fare, senza opporre resistenze, come una cagnetta fedele.
Credo che rimarrebbero stupiti nel scoprire che quel frustino viola che guardano maliziosamente con la coda dell’occhio mentre riposa ozioso su una mensola in soggiorno, sia destinato a flagellare proprio me, con le sue frange di pelle morbida e potente. Allo stesso modo, mio caro, sporco, amore, credo che rimarrebbero ancora più stupiti vedendo cosa riesci a inventarti con quelle lunghe fasce di seta che adesso oscillano acchiappando sogni, con i loro anelli d’acciaio infilati sulle sporgenze dell’attaccapanni. Solo con immenso sforzo riuscirebbero ad immaginare che servono ad immobilizzarmi e ad arrendermi a quell’istante, a quell’istante in cui semplicemente e acrobaticamente esisto, come una ginnasta rapita nel fermo immagine della sua danza oscena con una coppia di nastri. Solo dopo, slegando tutti i nodi delle loro bocche socchiuse, capirebbero che quei nastri servono a rendermi in definitiva una statua di carne adagiata, una roccia calda a cui chiedere, colpo su colpo, una nuova scintilla.
E sempre il fuoco si accende. Inizia a covarsi già da molto prima che raggiungiamo il nostro altare di lenzuola, molto prima che arrivi il momento del rituale. Quando mi telefoni, mentre sono al lavoro, dicendomi “questa sera sei mia” e io inizio a stillare umori e benzina, da infiammare sfregando tra le cosce un piccolo fiammifero.
Allora, quando arrivo a casa – di solito prima di te – mi basta iniziare ad accarezzare la seta dei lunghi nastri come la pancia di un serpente, sgranando una ad una le perle della sua coda, attorcigliando i pensieri attorno agli anelli d’acciaio che sigillano il patto tra me e la bestia, per innescare un’eccitazione umida di fascinazioni proibite. Mi basta accarezzare il corpo nudo – la pancia tesa e tremante, i capezzoli appuntiti come spine da mordere, la schiena sciolta dai nervi – facendo scorrere le mille mani del frustino e sentire il freddo vitreo del manico per leccare il desiderio dalla punta delle dita. Allora basta poco, davvero poco, per appiccare l’incendio.
Oggi, ad esempio, mi stai portando a toccare il sole. Ad entrarci così vicino, così vicino, persino dentro, tanto che mi sento bruciare, morbida e folle di limiti sconfitti e controlli lasciati precipitare. In picchiata, picchiano e battono dove il corpo gode. Hai fatto passare i nastri al di là della porta e chiudendola poi, per bloccarli stretti nella sua morsa. Mi hai chiesto “dammi un polso” e poi l’altro, legandoli in alto con le lingue di seta, assicurandoti che non potessi scappare, né farmi male. Adesso, mentre mi guardi negli occhi rigirando lento tra le mani il frustino, mi lascio andare, mi lascio volare proprio qui, appesa alla porta che congiunge piacere e dolore, come se stessi scivolando piano e vertiginosamente nell’aria, volteggiando aggrappata ad un paracadute di petali. E poi arriva, il sole, arriva colpendomi forte e piano con i raggi obliqui di primavera, poi diretti all’estate, che tu schiocchi dal frustino. Lo vedo agitarsi come una coda eccitata di corse, lo vedo venire vicino, lo sento addosso, doloroso, cocente, scottante, scandaloso. Colpo dopo colpo, lo sento generare un calore mistico che si crea in superficie e poi brulica sottopelle e poi scorre fino alla polpa del mio cuore e del mio sesso, che si fondono gli opposti in una sola carne viva, quando con le mani pretendi i miei gemiti e mi sussurri i tuoi sogni depravati all’orecchio. Ed è così che vengo adesso, e godo e urlo, con le gambe larghe e la bocca aperta, planando ubriaca e sazia in una terra di delizie, unita in un corpo di assoluta libertà da una verità a cui non so dare nome.
Questo racconto è stato gentilmente ispirato dai nastri BOA e dal frustino SENSUA SUADE by LELO
bello.. ma la pubblicità rovina tutto..
La pubblicità in questo caso era doverosa: ho voluto provare a recensire i prodotti in maniera diversa, cercando di sostituire le descrizioni e le didascalie con le emozioni.
So*
questa volta non posso commentare senza essere fazioso…non sono un amante dei giochi sadomaso anche light!
alla prossima so e senza perdere la stima nei tuoi confronti
ksss
meraviglioso. ma qualche foto per meglio illustrare l’utilizzo dei nastri?
@mario: hai ragione! non ci ho mica pensato! magri le aggiungo! Grazie dello spunto
@mc: kiss
So*