La topaia
La mia casa è una topaia. È all’ultimo piano di una palazzina liberty, in quella che è diventata Chinatown e che un tempo era una fiorente zona commerciale. Ora fioriscono gli sputi per terra, i negozi all’ingrosso e il tofu sfuso. C’è sempre traffico per la strada. Non di macchie, ma di persone e ruote e commerci sottobanco. Eppure, la topaia è la casa più silenziosa che io riesca a immaginare. Una casa così abbracciata dai cortili e i tetti che anche sotto i rumori si sente il silenzio, invece del brusio famelico della vita. La notte è talmente imbavagliata dalle pareti che il frigo che ringhia di notte è un’emozione da rapina a mano armata. Nella topiaia posso sentire anche il mugolare languido della lingua sul palato.
Si sente tutto. Si sentono anche gli odori. Del tabacco, del pane fresco, del piscio e del deodorante a buon mercato. Questa topaia è un posto dove posso diventare ricca, dove sono una regina in vestaglia che ammira il suo popolo di tegole.
La topaia è tutta bianca, con il pavimento di legno e un mobile che avrà cent’anni, con uno specchio butterato dal tempo.
La topaia è quel tipo di casa uterina in cui ci si sente sempre al sicuro. Ci si infila volentieri, nel suo unico locale lungo e stretto come una vagina. una fica in cemento aarmato, amato. Un buco solitario, otturato da una pelle di intonaco e mattoni, senza uscita sul retro. C’è una porta soltanto. Per entrare e uscire. Una casa senza bocca e senza culo per custodire segreti di sguardi taglienti di luce, gemiti di stoffe e lacrime striate. Un orifizio privilegiato per esclusione, che succhia e raccoglie tutta la vita che riesco a darle, per farla uscire piano, confondendosi con il mattino, dalle finestre vergini di suicidi. E’ una casa troppo bella, troppo madre, perché si possa pensare alla morte.
La topaia è il sottotetto di una puttana di fine ottocento, nascosta tra paraventi e cigolii, vestita di una città di gonne che cadono lunghe per essere sollevate dal vento e dalle mani. Le tue, solo le tue conoscono le mie terre.
Il letto ha i materassi molli, in cui il mio corpo sprofonda come una scultura nel mare. Un letto che trema, un letto a cui aggrapparmi per non volare mentre mi faccio scopare. È un letto di perdizione e benedizioni di sperma. Ho appeso uno specchio, di fianco al letto, in una posizione più basa del normale, che decapiti la mia immagine, solo per potermi guardare mentre godo. Uno specchio che ti imprigioni in abissi di vetro quando non ci sei. Per sentire che mi guardi con il suo riflesso mentre fumo i miei misteri appoggiata alla finestra. Non c’è nulla davanti a me, solo comignoli antichi e moderne gru all’orizzonte, si reggono in piedi affondando nel terreno i loro artigli di metallo, sfoggiando le loro piume di luci nella notte metropolitana.
La topaia una casa dove le unghie laccate si sbeccano e il tempo si rosicchia sotto le lancette di un grande orologio invisibile.
È una casa dove divagare nuda, dove cucinare indossando tacchi a spillo, dove dormire drogata di visioni. Dove lucidare bicchieri, coltelli e carne. Una casa dove sognare macchine pulsanti e ingranaggi umidi.
La topaia è una casa per masturbarmi di prima mattina con il sole che mi spia con occhi sottili dalle tapparelle. Una casa dalle ombre tagliate con l’accetta e dalle albe rossastre come il sangue. Una casa di pornografie private e feticci esposti come cristalleria, una casa di amplessi e risa sguaiate che escono dai cassetti in sottoveste, di grida e melodramma di stracci, dove dalle gole nascono concerti di sospiri che sanno di acqua e di borotalco. Di alcool e tabacco e gelsomino.
Ubriaca, ondeggio tra sipari trasparenti al ritmo della nostra scopata lenta, tra un colpo e l’altro trabocco ed entrano in travaglio mille fantasie diverse. Rubinetti con capezzoli d’acciaio da torcere finché non esce vapore urlante di orgasmi. Cuscini gonfi di sogni, erezioni e piume. Lenzuola ammainate dalla voglia di andare allo sbando. Sbatto. Sbattono le cartoline incorniciate contro il muro. Sbatte la composizione instabile dei miei capelli, sbattono le mie labbra, le mie palpebre. Sbattono pagine, parole, paradossi calcati dai tuoi affondi sulla mia macchina da scrivere. Sul mio corpo.
La mia casa. La tua casa.
beh vien voglia di visitare casa tua, per la sensazione benevola che se ne potrebbe ricavare ed allo stesso tempo vien voglia di salutarti mentre affacciata alla finestra ondeggi sbattuta ritmicamente:salutarti e non chiederti di passare una serata con te, nella tua casa,per paura di profanare il tuo tempio.
ksss
bello, bello. bello e poi mi piacciono i racconti di luoghi
ce ne ho messo a capire il doppio senso. bravissima
Grazie, grazie davvero per le belle parole, in questo momento ne ho davvero bisogno. Scrivere IL libro è un’esperienza meravigliosa e dura, il ritrovare il proprio cuore scavando nel calcare… mi spiace di aver trascurato un po’ il blog, ma preferisco farlo meno, ma con più calma, con la voglia di scrivere che imbizzarrisce le lettere
@mc: è bellissima, vero? proprio un tempio di pagine, tetti e vento, pavimenti su cui camminare a piedi nudi.
@mario: mmm quale? mi sa che ormai li scrivo senza neanche accorgermene…
So*
@Sophieboop:
mi pare adesso, anche troppo ovvio: cosa c’è in una topaia?
ah, sophie, sophie, sophie. sei una delle poche autrici erotiche capaci di scrivere un libro, un blog che leggo per leggere, tu sei una scrittrice. continua, ti prego, così, così, non smettere.
Brano davvero eccellente, sotto ogni punto di vista.
Complimenti, Sophie: leggerti è diventato un piacere irrinunciabile – non solo per me, a quanto pare.
Alla prossima,
P.
@mario: ehehehhe tope che ballano
@marasmi: grazie di cuore non smetto, non smetto più! Sono a pagina 130
@Paradox: gghghghghghgh
So*