Puttane e negozi chiusi
Stasera sono andata a fare un giro nel mio quartiere, quello di sempre.
Non avevo altra scelta: avrei aspirato anche una gamba del tavolo pur di fare qualcosa di simile a fumare una sigaretta.
Uscita dal portone vedo un uomo nel cortile, che parla al cellulare e riattacca velocemente. Poi sento scattare la serratura elettronica del citofono e lui sale. Sta andando dale puttane che abitano nel mio palazzo. Delle persone squisite, probabilmente le più gentili tra i condomini. Salutano sempre e sorridono. Mi spiace anche un po’ chiamarle puttane, perchè mi sembra di disprezzarle. Ma è quello che sono. O meglio, sono delle trans molto molto ben fatte che si prostituiscono.
Una sera d’autunno ho visto una di loro che batteva al freddo in una delle note strade del puttan tour della mia città. Mi ha fatto male vederla così, e mi sono chiesta come facesse ad avere sempre quell’allegria carioca stampata in faccia. La sera, sotto casa mia, c’è un bel via vai di signori di mezza età, ma nessuno schiamazzo. Questa è la differenza tra loro e il mio vicino galeotto. Lui disturba. E fa del male alla gente. Mentre loro, le puttane gentili, si avvicinano decisamente di più a quella che è la mia idea di far del bene, o almeno, al far star bene le persone.
Mentre esco sulla strada penso a tutto questo, e mi ritrovo tra l’aria fresca e la strada semibuia per le lampadine rotte. Non so dove andare. Vorrei sedermi a fumare la mia sigaretta, ma non riesco a stare ferma. E poi non voglio sedermi sul gradino di un negozio, non voglio sembrare disperata, se qualcuno dovesse vedermi.
Mi dirigo verso le vetrine di un negozio di arredamento, che schiamazzano in scritte cubitali: “liquidazione! Sconti dal 30 al 50%!”. Mi dico “Stanno chiudendo anche loro” e desidero una casa mia da arredare a prezzi stracciati. Anche le luci dei negozi sono spente, probabilmente per risparmiare sull’elettricità. D’altra parte chi guarda le vetrine a quest’ora? Non c’è in giro quasi nessuno. Sento solo gli schiamazzi di un gruppo di donne che chiacchierano frivolezze con un tono della voce simile al sonar dei delfini. Mi urtano. Mi guardano. Mi allontano.
Non voglio seccature, solo 20 minuti d’aria. Cambio direzione e vado verso il Blockbuster, che quando era arrivato più di 10 anni fa sembrava avesse portato finalmente la civiltà moderna e una cosa fighissima che tutti chiamavano “globalizzazione”. Ora è chiuso, con le vetrate da cui un tempo si vedevano gli scaffali pieni di film, coperte come salme da lenzuoli di carta bianca. Non c’è neanche più l’insegna. Le serrande dei negozi tutto intorno sono abbassate e grigie e io vengo attirata come una falena stordita verso i neon alla fermata dell’autobus. Mi siedo a fumare la seconda sigaretta in 13 minuti, almeno così sembrerà che sto aspettando qualcosa. Ad esempio Godot.
Non faccio neanche 5 tiri che mi sono già alzata e torno indietro. Voglio fare il giro dell’isolato mentre giro isolata. Voglio guardare gli annunci delle case dell’agenzia immobiliare. Sogno un po’, che non fa mai male. Mi sento ubrica, stordita da tutto questo silenzio. Sono stata indecisa sul fermarmi o meno a bere qualcosa nel bar dove andavo con gli amici. Ma bere da soli in un luogo pubblico mi mette davvero addosso troppa tritezza. Mi sentirei un quadro di Degas.
Lancio il mozzicone abbrustolito al di là della strada e imbocca la via di casa. Una macchina si allontana nella direzione opposta grattando con il cambio. Nell’abitacolo scorgo l’uomo che avevo visto salire dalle puttane. Mi chiedo se lui soffrisse di eiaculazione precoce o se lei fosse molto brava. E’ pieno di puttane qui intorno, che lavorano in casa. Ce ne sono anche nel palazzo di fronte al mio, dove una volta ho visto entrare alle 3 di notte una stanga bionda e seminuda, seguita da un ragazzino che avrà avuto più o meno 18 anni.
Nel mio cortile ora non c’è più neanche qualcuno che voglia godere. Nel mio quartiere non c’è più neanche qualcuno che riesca a vendere qualcosa, a parte le puttane. Apro il portone e chiamo l’ascensore. Sento che la serratura scatta dietro di me mentre si aprono le porte, ma non aspetto. Entro più velocemente che posso, e schiaccio il tasto del mio piano. Nessuno si lamenta, o impreca. Io l’avrei fatto.
Quando chiudo la porta di casa, sento solo un gran vuoto intorno.
Bellissimo, So