Lettera aperta del mio culo chiuso
Scrivo per dar voce al mio culo, che da qualche giorno si è chiuso in un silenzio ostinato e ascetico nei confronti del mondo, stretto in se stesso per riuscire a sopportare un dolore che lo scuote nel profondo.
Mi sono presa la responsabilità di essere sua portavoce perché lo conosco meglio di chiunque altro al mondo: la sua sensibilità, la sua dolcezza e la sua incredibile forza nel sopportare le avversità della vita sono virtù note a chiunque abbia avuto la fortuna (permettetemi un discutibile motto di spirito: il culo) di fare la sua conoscenza.
Pur essendo più inseparabili di coulotte e giarrettiera da ormai molti anni, non ricordo di averlo mai sentito più frustrato, sofferente e determinato di ora. È quindi con profonda compassione, dedizione e pena, che mi appresto a comunicare ciò che il mio culo stesso ha chiesto di divulgare agli intimi (e non, evidentemente), attraverso questa lettera aperta.
Sono stanco di tenermi tutto dentro.
Emeriti stronzi, avete finito di divertivi sulla mia pelle per svuotarvi le palle o la coscienza. Avete finito di fottermi. Entro in sciopero. Mi ritiro in un eremo. Orifizio chiuso per ferie. A tempo indeterminato. E non chiedetemi, “Ma come? Perché?” perché lo sapete fin troppo bene dentro di voi, esattamente come io lo so dentro di me. Mi sento lacerato, mi avete lacerato. Squarciato, dilaniato. Le viscere, il mio cuore, la mia anima. Anche se sono un duro, evidentemente anche più del vostro cazzo, questo non vuol dire che io non possa rompermi, che io non possa varcare il limite dell’umana sopportazione.
Perché mi avete fottuto troppe volte, prendendo tutto, sapendo che tanto io mi adatto, che basta un po’ di pazienza e di vasella e poi sopporto qualsiasi cosa, anche la più colossale delle inculate. E non mi lamento, perché trovo sempre una giustificazione, perché amo anche quando fa male. Certo, non è tanto la singola botta in sé, ma dopo un po’ che non fai altro che prendere bastonate e travi nel culo, sempre più dentro, sempre più forti, arrivi a un punto in cui non vuoi più sentire niente. Arrivi ad un punto in cui non ce la fai più a trattenerti, e la merda che hai dentro, quella che hai gelosamente custodito e accumulato per an(n)i come i più preziosi segreti del tuo cuore, vuole solo uscire e straripare addosso al mondo che l’ha generata e alimentata per tanto, tanto tempo.
Beh, adesso la situazione è cambiata, perché mi sono stancato di essere sfondato da chiunque voglia abusare della mia disponibilità e della mia speranza che l’amore esista, che l’amore nasca o cresca, o che semplicemente non avvizzisca come un cazzo moscio dopo una sveltina degna di Bip-bip. Mi sono rotto di essere il vostro Willy Coyote con cui giocare alla sodomia. Mi sono rotto di essere la culla dei vostri piselli e dei vostri cuori in attesa di qualcosa di meno difficile, di una bella passera facile. Sono stufo di imprese sentimentali che equivalgono a scalare una montagna innevata per raccogliere un granello di sabbia che poi si confonde nel ghiaccio e alla fine torna a valle, dov’è sempre stato, nella vostra coscienza arida come il deserto. Troppe volte mi sono messo a nudo davanti a voi, troppe volte mi sono preso il rischio e vi ho dato la possibilità di ferirmi, esponendomi ai vostri colpi usa e getta, sperando di essere accarezzato con una rosa o con un bacio.
Certo, forse sarà anche un po’ colpa mia, se sono così sfondato, se ora non ho più neanche la forza di aprirmi con un ramoscello di prezzemolo, che si sa, quello si infila sempre da tutte le parti. Quel puttanone del prezzemolo. Io vi ho trattati tutti come il prezzemolo, come puttane che pagavo con il dolore per una nuvola di calore, amore, facendovi entrare nei miei segreti, aprendo la mia anima al più piccolo sfioramento, ad ogni piccolo accenno, ad ogni falsa attenzione o vana speranza.
Bene, adesso potete andarvene vaffanculo da un’altra parte, perché qui non c’è più niente da toccare, potete solo guardarmi mentre mi allontano senza voltarmi, senza voler rivedere la vostra cazzo di faccia, che magari sono anche riuscito ad amare, perché di stronzi in vita mia ne ho già incontrati abbastanza.
Perdonategli il linguaggio scurrile, d’altra parte è sempre un culo.
bella lettera, non scritta con il culo…. ma con il cuore
sì… decisamente. (cagata emo) I pezzi del mio cuore sono molto utili per pigiare tasti.
So.
Caspita, se parlasse più spesso il culo che il cuore soffriresti meno.
Bellissimo sfogo, lascia che viva e non relegarlo nei ricordi troppo presto, ti aiuterà a scegliere meglio di chi fidarti. R.
spero di imparare, prima o poi…
Grazie della solidarietà
So.
No, non mi sento del tutto coinvolto dalla lettera aperta del buchetto ex aperto, perché non sono riuscito a cogliere la fisionomia di questo buchetto, la sua specificità. Ad esempio non capisco se sia buchetto maschile o femminile e la differenza in questo caso conta. Se invece si è rappresentato un buchetto “universale” buono per tutti i buchi del mondo (stessa frustrazione), in realtà la mancanza di una forte e personale caratterizzazione tende a non conferirgli una specifica identità, o se vogliamo un’anima, perciò non riesco ad amarlo, a sentirmi vicino alle sue tribolazioni, è solo un buchetto come quello che si fa sulle pareti piantando un chiodo. Il dispiacere che provo per le sue tribolazioni è lo stesso dispiacere che provo quando, piantando un chiodo, scrosto appena l’intonaco del muro.
Tutto ciò dipende dal fatto che io posso odiare una ragazza ma allo stesso tempo amare incondizionatamente la sua vagina, e in misura minore il suo buco piazzato qualche centimetro sotto, in quanto essi sono scollegati dalla nostra volontà, dal nostro controllo, dalla nostra coscienza; vivono indipendentemente da noi, dal loro “proprietario” (infatti è solo con il passare del tempo che noi impariamo a conoscere la nostra vagina o il nostro pene, o il buco dietro, è un incontro tra noi e qualcosa che fa parte di noi ma è esterno a noi). Pene o vagina hanno un loro carattere, una loro personalità anche molto diversa da quella del loro proprietario, hanno un’dentità. Ma se quell’identità gli viene tolta, se scopertamente si sente che siamo noi a parlare per loro, o se non si va in profondità, ecco, non riesco ad affezionarmici, o dispiacermi per il loro dolore, perché quello che viene fuori non è più frutto di una coscienza indipendente che sente in modo diverso dagli altri e mi racconta qualcosa di personale (o in un modo personale), ma è solo rappresentazione di un patrimonio di esperienze comuni. Non mi piace la folla, amo l’individuo.
Taglia, perdonami, ma non ti seguo… cioè, non ho proprio capito
Per puntualizzare: chi parla, non è il mio culo reale, fisico, ma quello “esistenziale”. Il messaggio della lettera è: sono stanca di prendere inculate nella vita, in amore; non voglio dare a nessuno la possibilità di ferirmi di nuovo; mi ritiro nella mia singletudine, a leccarmi le ferite. Baci e abbracci.
So.
boop mi torni dalle ferie cosi’?
che e’ successo?
devo preoccuparmi?
milano uccide, sempre sostenuto
Milano crea assuefazione da stress…e quando cadono i paletti della routine, lo sklero dilaga!
Aiutooooooooooooooooo
So.
Purtroppo però, se si vuol amare ed essere amati, è necessario offrire la possibilità all’altra persona di ferirci… se non ci si dona completamente l’altra persona lo sente e il rischio è di veder sfumare una grande storia per paura, paura d’amare e comunque soffrire in ogni caso.
Ti auguro che le tue ferite si rimarginino in fretta.
Hai ragione. Grazie. Di cuore.
So.