shopping
Se aveste guardato in piazza Sempione, poco prima delle due del pomeriggio di giovedì 22 luglio 2006, avreste visto, partendo da destra e lasciandovi i campi elisi alle spalle: una coppia di anziani che passeggia artritica, accompagnata da uno Yokshire saltellante, il parco verde sfuocato per il caldo e il Castello Sforzesco che si staglia ruvido nell’orizzonte ingrigito dall’afa, un cameriere indiano che sistema affannato poltroncine di vimini all’esterno di un bar, e Pier che fa nervosamente la spola nei cinque metri di marciapiede tra il tombino alla sua destra e la barra di ghisa alla sua sinistra. In linea di massima, avreste pensato che quel ragazzo inquieto si stesse dicendo: “mio Dio, sono proprio io. Lo sto facendo sul serio”, mentre succhiava una sigaretta dietro l’altra.
Camminava con la foga pacata di chi si eccita nell’attesa, davanti a una vetrina anonima plastificata di pece, con i pollici che si appendevano alla cintura dei jeans scuri, le dita dei piedi che si contraevano curiose dentro la scarpa, e un mozzicone biancastro che gli ballava tra le labbra come un dente da latte. Eclissato dagli occhiali da sole, si concesse di ricordare quell’episodo infantile che aveva da poco dissotterrato dalla sua buca delle vergogne: lui bambino, con la testa ingoiata dal forno di una cucina giocattolo, e il resto del corpo steso a pancia in giù sullo sportello, mentre una sua amichetta lo esorta a fare il bravo pollo allo spiedo, premendo delicatamente la punta di una matita colorata sopra lo strato felpato della tuta, in corrispondenza dell’ano. Ecco il sasso gettato nel suo stagno, che lo increspa di onde ipnotiche, poi riemerge e si tuffa di nuovo sempre più giù, fino a toccare il fondo, prendendo la spinta, per saltare fuori e riatterrare sulla superficie rotta di schizzi. Il solo ritrovamento di questa verità lo fece palpitare e rabbrividire sotto l’umido del sudore caldo e gli angoli della bocca gli si inarcarono tra gli spilli della barba incolta, scavando un sorriso lucido di saliva. Sbuffò tabacco e vapore per stemperare quel bollore febbricitante, poi guardò l’orologio. Attese che la lancetta dei secondi saltellasse tremolante, fino a far scivolare la lancetta dei minuti, che riuscì a fermarsi sulle due solo aggrappandosi al respiro che gli si era mozzato in gola. Si lasciò la propria ombra alle spalle, e spinse la porta pesante e densa del negozio, sentendo che una sensazione nuova si faceva spazio dentro di lui, fluttuando tra il ricordo di lui, bambino, con le dita rosse di marmellata, e quello del suo pollice inanellato da uno stampo di rossetto carminio.
Si ritrovò in un cunicolo ricoperto di moquette grigio scuro, i cui riccioli erano appena illuminati da una lama di luce che filtrava dal bordo della vetrina oscurata; indugiò per un attimo tra le due porte, quella di ingresso e quella di accesso al negozio, per godere nel buio del pensiero di Moira, con le sue gambe dischiuse e il suo culo invitante che si dimenava malizioso, protendendosi tra i suoi pensieri. Si chiese, compiaciuto della propria e dell’altrui perversione, come avesse potuto arrivare a tanto, addirittura accettare di sottomettersi, di sottostare a un ricatto. “Sono ridicolo” pensò “ma ne vale la pena”, e la sua bocca si sgranò in una risata rotonda, che venne subito subissata da quella dura di Moira che diceva: “potrai incularmi solo quando io potrò inculare te” e gli sbalzò il cazzo duro tra le gambe, sollevando di poco l’elastico delle mutande. Ormai non poteva più tirarsi indietro, e anche inventare una scusa per sé stesso sarebbe stato perfettamente inutile: sapeva che non sarebbe mai riuscito a rinunciare a quel desiderio che aveva bandito per tanto tempo. Indugiò qualche istante, inspirando profondamente, facendo scendere il fiato nel basso ventre, sperando così di riuscire a stirare l’erezione che gli gonfiava i pantaloni, per evitare di sembrare un bamboccio dalla mano svelta, una volta varcato l’ingresso del sex shop.
La porta si aprì silenziosa, e fu investito dal frastuono di colori e forme che riempiva il locale, provando una sensazione di stordimento, fluttuando tra le pareti tappezzate di rosso nell’aria densa di incenso, dalla quale riuscivano a filtrate solo le note di una musichetta soffusa. Una banda di falli riposti quieti nelle vetrinette che circondavano le pareti del negozio gli fece ricordare, di colpo, per quale motivo si trovasse lì: per una verga posticcia, che la sua donna avrebbe usato per scavare dentro di lui, con il compiacimento di un ginecologo immorale che si finge miope. Era stato quasi uno scherzo, ma Pier aveva deciso di sottomettersi a quell’eccitante variante della legge del taglione, pagando colpo su colpo ogni stoccata che avrebbe affondato nella carne di Moira. Pensò all’espressione di sorpresa che si sarebbe sgranata sul volto di lei, una volta che si fosse trovata tra le mani e tra le cosce un tale potere e all’euforia infantile e sadica che avrebbe risvegliato in lei, facendola gorgheggiare di libido. Per la seconda volta nell’arco di cinque minuti scarsi, si trovò a dover domare l’istinto che gli scalpitava in pancia, alzando un polverone di ormoni, a stento imbrigliati da un contare lento: “ Uno. I suoi capelli ondeggiano su di me. Daccapo. Uno. Due. Mi cavalca come un’amazzone indomabile. No, due. Tre…” Per non dare nell’occhio, decise di fare un giro tra gli scaffali del labirinto dei porno, aggirandosi lento e battendo colpi di tosse che suonavano anacronistici per la calda stagione. Si affacciava tra le videocassette con sguardi spezzati tra timore e curiosità, perlustrando l’esposizione di balocchi erotici: un’occhiata ai grembiuli disegnati di nudo, alle uniformi da infermiera e da scolaretta; un’occhiata ai morsetti per capezzoli, ai frustini e al latex impuntato di cerniere argentee; un’occhiata, quella definitiva, a sessi eretti, enormi, minuti, solitari o doppi, che promettevano godimenti vibranti, esposti nella loro pelle gommosa al di là del vetro. Pier si spostò ai lati del locale, vicino alla teca, appannandone la trasparenza con il respiro, per poter esaminare più attentamente gli esemplari, mentre scattava rapide polaroid del commesso, per controllare che stesse ancora sprofondato nella noia, con lo sguardo vacuo perso a sfogliare un catalogo per corrispondenza. Aveva già deciso, prima di entrare nel negozio, come avrebbe scelto il cazzo orfano che si sarebbe portato a casa: “un amore a prima vista”, pensava fumando una sigaretta immerso nella sua poltrona, “come quello per Moira, perché dopo tutto, saranno entrambi dentro di me”. In prima fila, un vibratore ripieno di una specie di gelatina rosa tempestata di brillantini attirò la sua attenzione, esibendosi in una dimostrazione delle proprie potenzialità: era in mano a Moira, che lo brandiva come la paladina di un manga, che lo infilava sibilante nel suo sesso e lo estraeva lubrificato e caldo, per poi spingerne la superficie liscia contro la plisettatura del suo culo per bene. Sentì lo sfintere dilatarsi e restringersi affamato come un neonato, le palle gonfiarsi di vita, ma l’eccessiva femminilità di quel dildo era inopportuna e gli fece distogliere lo sguardo, che ricadde avido su una coda di biglie metalliche. Erano lì, penzolanti e flessibili, già lustre, pronte per essere raccolte nel palmo di una mano e snocciolate come ciliegie, una alla volta, dentro di lui, sempre più in fondo, e poi tirate con uno strattone che avrebbe fatto sfrondare di rugiada l’albero del suo pene. Ingoiò deglutendo più volte la troppa saliva, con lo sguardo ancora fisso su quei pianeti allineati nel segno del godere e le mani allibite a sistemare la patta, ripromettendosi di riservare quell’acquisto ad una situazione più solitaria. Scrollò la testa dalle sue ultime inconfessabili voglie, e tornò alla sua ricerca, riuscendo a scorgere tra la moltitudine di forme e dimensioni un solo articolo degno di nota: un fallo color carne di mezzo metro, temperato ad entrambe le estremità per un godimento simultaneo, che però perse attrattiva poco dopo, quando Pier ricordò di averne visto uno simile in un video lesbo di bassa fattura. Poi finalmente lo vide, e gli occhi gli brillarono insidiosi di peccaminosa determinazione come due mezze lune appena arrotate: un dildo nero e lucido come uno scettro, ritto come un totem, svettava appeso ad una cintura di cuoio. Girò il chiavistello di metallo freddo della bacheca con le dita che balbettavano la sua eccitazione. Lo afferrò con tutte e due le mani, stringendone la consistenza soda e turgida, ma che si sarebbe potuta morbidamente comprimere attorno alle spire del suo ano. Lo sentiva dibattersi allo stesso ritmo pulsante delle sue dita irrorate di sangue e desiderò lo stesso palpito dentro di lui, stretto nel suo occhiello di carne, mentre Moira lo penetrava piano per poi cavalcarlo imperiosa come una valchiria, facendo sbattere la vulva rossiccia sulle sue natiche e facendo urlare il suo piacere raggirato. Le pupille gli si offuscarono dei colori caleidoscopici di un orgasmo corteggiato e respinto; poi tornarono nitide, e Pier si avviò verso la cassa, con il cazzo travolto in una danza forsennata al ritmo di “l’ho trovato, l’ho trovato”, cullando tra le braccia il frutto del suo desiderio. I contanti gli scorrevano a fatica tra le dita umide di eccitazione, poi notò che il commesso lo guardava perplesso e disse: “È un regalo” .
Sempre grande sophie
merci mercy…ad altri non è piaciuto…dimmi una cosa…sec te potrebbe essere classificato come erotico?
ma…nooo daiii
no, sul serio… perchè il brief era “scrivi un racconto erotico”, e poi al reading nessuno (a parte me) lo avrebbe definito erotico, ma solo un “decalogo” di sex toys…nessuno l’ha definito eccitante…sarà, ma e me i sex toys fanno strippare un sacco…
era ironico
lo so…:)
om’è scrivere dietro brief?
questo l’avevi letto?
http://offender.wordpress.com/confine/
mah…a me aiuta parecchio, soprattutto perchè ho la possibilità di fare cose che magari da sola non farei, o non mi verrebbero in mente…ovviamente poi ho bisogno anche della mia fetta di libertà di iniziativa ed ispirazione…però devo dire che scrivere dietro brief ti aiuta a raccogliere più stimoli possibili, ad entrare nell’ottica di guardare la realtà con la prospettiva di raccontarla…
uhm a me non mi briffa nessuno, però ad esempio a me un racconto erotico in sé non mi verrebbe….
va beh…dipende un po’ dalle inclinazioni…